DoF: Dragonlance, terzo esperimento di costruzione mitopoietica TSR

  A Dungeons & Dragons va attribuito un grande pregio nei campi della cultura dell’Immaginario e dell’industria editoriale (oltre che in quella ludica), è stato e resta ancora un prodotto-medium con il quale è possibile osservare e sfruttare lo strumento della mitopoiesi nel modo più completo e totale possibile.  

Mitopoiesi è un termine tecnico del gergo della critica letteraria tratto dal greco antico dove «poièsi» sta per «creare dal nulla». È un termine con un significato molto preciso, e non va utilizzato per sottolineare l’atto di scrivere una storia di fantasia, fantastica o di fantascienza, ma vale solo per quelle opere letterarie che contengono le caratteristiche del «mito». È necessario che spieghi in modo ancor più approfonditamente.


I miti veri

  Per noi esseri umani i miti non sono stati, né lo sono tutt’ora, delle sciocchezze da poter prendere alla leggera. Per quanto incredibili e fantasiosi sono i miti dell’uomo, sono stati e in una certa misura restano fondamentali per le nostre società. Alcuni – secondo me in modo assolutamente esatto e illuminante – hanno stabilito che l’elaborazione dei miti durante l’era Antica, rappresentò un notevolissimo sforzo dell’intelletto umano di razionalizzare il mondo per dare delle spiegazioni alle domande esistenziali. Vastità, ricchezza e complessità dei miti antichi, sono le prove più precise a dimostrarlo.  La razionalizzazione tramite mitopoiesi fu la prima forma di filosofia dell’uomo, prima ancora che si sapesse cos’era la Filosofia e per molti versi il mito anticipò la religione e la Teologia nelle sue forme più primitive delle società antiche. A questo punto è semplice capire ed essere tutti d’accordo sul fatto che i miti non devono essere presi alla leggera; in sostanza e con massima importanza sono stati i depositari di tutte le giustificazioni sugli ordinamenti delle società trascorse: perché esistevano certe leggi, perché consideravano diversi gli uomini oppure degni di godere degli stessi diritti, e quali valori etici dovevano essere difesi e rispettati e quali contrastati; tutte le religioni hanno dei miti, l’educazione che abbiamo ricevuto e quella che trasmettiamo alle generazioni del futuro hanno fondamenti mitologici; ancora oggi abbiamo bisogno di miti per impegnarci in qualcosa d’importante superiore allo stretto necessario quotidiano, come il porsi un grandissimo obiettivo partendo completamente da zero, e spesso, persino quando siamo consapevoli di non riuscire ad avere il successo immaginato, può bastare l’aver vissuto proiettati verso l’orizzonte di questo mito per sentirci esseri umani realizzati; infine, per quanto banale può apparire, è assolutamente vero che quando i miti del passato si sono dimostrati definitivamente insoddisfacenti alle nuove esigenze portate dal cambiamento del tempo, in molti si sono dati da fare per inventare nuovi miti, e questo sembra un processo inarrestabile.

Mito e semplice tecnica narrativa

Gli autori di Dungeons & Dragons – naturalmente – non hanno mai avuto la benché minima intenzione di fornire dei miti reali al pubblico dei loro lettori. In verità questo è mestiere di chi fa politica, degli attivisti religiosi, oppure di chi deve impegnarsi a gestire e governare altri uomini. Uno scrittore modesto (quando vuole) si ferma all’uso delle tecniche mitopoietiche per arrivare a ottenere un’opera letteraria pregevole. D&D è un campo d’uso, anzi, d’intenso sfruttamento delle mitopoiesi perché, nel crescendo della sua fortuna editoriale, i suoi autori non si sono più limitati a offrire storie (interattive e non) di draghi, guerrieri, principesse e stregoni, ma esattamente come pretende il mito, ogni universo inventato è un’opera di ingegneria nella quale tutto è giustificato accuratamente sotto ogni aspetto: storia, costumi, religioni, leggi, tecnologie ecc., ecc.


Come si possono “somministrare” i miti

  Il mio approccio preferito, tuttavia, non si limita ad analizzare questa parte di storia del gioco e della letteratura di massa del tardo Novecento solo con un taglio unicamente teorico e concettuale. Accanto a questo cerco anche di ricostruire quei passaggi materiali che costituiscono quella disciplina chiamata Filologia, la quale si occupa di come i testi e i libri prendono concretamente forma dalla prima versione sul foglietto riutilizzato alla sua edizione rilegata… E in un certo senso, questo genere di ricerca assume lo stesso valore e importanza dei lavori che ricostruiscono i Concili ecclesiastici delle Chiese Cristiane, o le forme di divulgazione delle ideologie politiche. Per esempio, molti lettori e appassionati di D&D sono stati abituati a trovare il “materiale mitopoietico” disposto sotto una ben precisa forma-libro e di serie di libri, cioè hanno trovato dei volumi da leggere e da “mettere insieme” nelle loro informazioni secondo una sequenza ben precisa, in modo da avere un quadro definito del gioco. In questo senso a livello di concetti la “costruzione mitopoietica” si presenta progressivamente a partire dal “Regolamento di base” che spiega come creare i personaggi giocanti e i modi d’impiego (solitamente nelle sezioni dedicate ai combattimenti o alle manovre speciali). Il Regolamento di solito è suddiviso in due o più volumi, uno sempre disponibile per tutti i partecipanti, l’altro riservato al master; su quest’ultimo si trovano i “segreti” che i giocatori non dovrebbero sapere e anche quelle informazioni di cui i giocatori possono fare a meno. Fatto sta che il “Regolamento” è solitamente qualcosa di neutro, e se vogliamo anche “piatto” poiché – e specialmente su D&D – il materiale narrativo in quelle pagine è ridotto quasi sempre all’osso. La maggior parte di tutto il restante è introdotto e contenuto in tutte quelle pubblicazioni dette dell’«Ambientazione» nelle quali, per esempio, sei i primi capitoli del Manuale del Giocatore sono dedicati a descrivere le diverse tipologie di personaggi (uomo, elfo, nano ecc.) e le Classi disponibili, i libri d’Ambientazione iniziano ripercorrendo tutto questo ma con un taglio molto diverso; non abbiamo più descrizioni sommarie di una decina di diversi esseri viventi né degli archetipi generici di mestieri o professioni, ma la descrizione di come i personaggi possono essere Maghi o Guerrieri all’interno di paesi e società diversamente strutturate tra loro, e via dicendo.

I diversi tentativi di D&D

  Questo schema, che in sostanza è l’applicazione editorialistica della Struttura logico-letteraria di cui ho scritto nell’articolo precedente, non fu, tuttavia, la prima e più naturale forma attraverso la quale gli autori di D&D offrirono al pubblico il materiale – oggi lo è sicuramente, perché riconosciuta come la migliore sotto ogni punto di vista. Riducendo all’osso una quindicina d’anni di storia – rischiando anche qualche imprecisione: i primi materiali di D&D risalenti agli anni ‘70 offrivano poco in fatto di «Ambientazione». Tuttavia con il progressivo successo della novità del gioco, quando circolava sotto forma degli “storici” e ormai rarissimi “libricini bianchi”, venne sviluppato il primissimo Setting di Dungeons & Dragons che in tanti lo hanno sentito ma pochi hanno approfondito: Blackmoor.  Nei primi anni ’70 D&D era in fase embrionale, per l’appunto un “gioco nuovo” dove si facevano cose diverse dagli altri basati su tabelloni e miniature. Fatto più importante era che ancora nessuno aveva un’idea precisa su quale direzione D&D dovesse prendere e si andava per tentativi della libera fantasia. Come la “leggenda racconta” ne risultò che Blackmoor era un’Ambientazione “strana”: metteva insieme elementi dalla Fantasy tradizionale con quelli della Fantascienza (maghi e spade laser, per intenderci). Blackmoor non venne mai sviluppata in modo ampio e approfondito, ma quando in seguito Gygax e compagni fondarono la TSR e decisero di dare alle stampe Dungeons &Dragons nella più nota versione in scatola (prima le tre di colori rossa, azzurra e blu, seguite da quelle nera e oro), Blackmoor fu preso come il passato lontano e remotissimo del mondo che costruirono per il D&D Classic. Ma i giocatori lo scoprirono mano a mano perché la struttura evolutiva di questo gioco era imperniata sui Livelli dei personaggi. Perciò nella scatola del Set Base che permetteva di creare i PG e di portarli fino al terzo Livello, non c’è alcun riferimento particolare all’ambiente intorno ai dungeon che esploravano, di questo si inizia a saperne qualcosa con i Set Expert Companion – con in più l’aggiunta che almeno la prima serie dei Moduli d’Avventura per D&D rispettano fedelmente la linea editoriale di mantenere i contorni di Mystara (questo era il nome dell’Ambientazione in oggetto) indefiniti; solo i suoi supplementi geografici, le Gazzette (Gazeteer) ebbero il compito di delineare definitivamente il mondo e la sua storia.  Advanced Dungeons & Dragons cambio radicalmente tutto questo. Innanzitutto il suon Regolamento venne pensato scollegato da un’Ambientazione specifica, in secondo luogo sembrò essere stato questo a decretare la forma della Struttura logico-letteraria come paradigma perché diede modo a Gary Gygax di pubblicare la sua Greyhawk. Questa era davvero la sua ambientazione, quella che aveva giocato per anni con i suoi amici costruendola giorno per giorno. Greyhawk venne pubblicata come volumi “quasi-indipendenti“, nel senso che sono leggibili anche senza ricorrere necessariamente ai manuali di D&D, ed ebbero la forma di un trattato, globale e generale, capace di illustrare un’intera ambientazione senza lasciare “vuoti” o cose frammentarie, così come molti altri prodotti di D&D – p. es. Forgotten RealmsEberron o Dark Sun – sono stati poi concepiti: è sufficiente la lettura del libro principale per avere tutto il necessario per giocare, il resto è approfondimento. 

Nel 1984 – cioè prima che uscisse Forgotten Realms – arrivò Dragonlance che non rispettò né i punti d’arrivo conseguiti dal D&D classico né da Greyhawk, e neppure fu una serie di Moduli d’Avventura giocabili nell’immediato con un semplice e progressivo ampliamento del panorama. Senza dubbio il romanzo I Draghi del Crepuscolo d’Autunno si assunse il ruolo di essere inizialmente il testo di riferimento per l’Ambientazione, senza però essere in alcun modo didascalico o divulgativo come invece la forma del trattato storico-geografico degli altri volumi d’Ambientazione offrivano.  Inoltre, come ho segnalato al tempo in cui scrivevo il mio Diario d’Avventura di Heroes of the Lance, era a mio avviso palese l’intenzione da parte del Team dei creativi (Weiss e Hickman in testa) di voler offrire al pubblico una vera e classica avventura epica. Infatti appare decisamente evidente che fino ad allora la maggior parte delle avventure ufficialmente proposte dalla TSR si focalizzavano principalmente su temi di natura “economici”: gli avventurieri svolgevano la loro professione essenzialmente per diventare ricchi e potenti. Per cambiare questa impostazione, mi pare chiaro, venne scelta l’idea di costruire una storia a “maglie più strette” intorno a dei personaggi-protagonisti solidi e delineati nelle loro personalità e anche nei loro principi etici e morali: i sei che compongono la Compagnia della Lancia non si ritrovano la Quest in mano per caso o per trama ordita da poteri superiori a loro, ma la ricerca del potere divino perduto era stata iniziata da loro stessi ben cinque anni prima; quindi quando  proprio a Solace da dove erano partiti, incontrarono i due barbari Que-Shu con il Bastone di Cristallo Blu, ogni discussione in merito a cosa fare non poteva avere altro sbocco se non di rispondere alla chiamata degli dèi. Piaccia o meno è questo lo “spirito” fondamentale e di partenza delle Cronache di Dragonlance; anche tentare di giocare con personaggi diversi da quelli proposti, vedrà ogni scelta diversa dal voler assumere il ruolo di eroi epici, se non portare alla disfatta, sicuramente molto lontano dall’esperienza centrale della Saga.