Dragons of Flame e la cartografia impazzita

  Com’è noto la Cartografia è una materia di sussidio essenziale per il Gioco di Ruolo, e alcuni appassionati hanno il culto per le mappe molto accurate e calcolate con realismo e coerenza dei mondi immaginari; altrettanto spesso le miniature e gli scenari in scala tridimensionale sono il tocco ultimo che su un tavolo da gioco crea l’arredamento completo di una sessione. Oltre queste espressioni massime della rappresentazione visiva di una realtà virtuale creata in un GdR da tavolo, durante la quale, usare un foglio di carta e una matita per disegnare gli ambienti giocati è essenziale, tanto che il “cartografo” è un compito raccomandato dagli autori: deve essere diligentemente eseguito da un giocatore scelto tra il gruppo.

  In linea teorica disegnare una mappa sulla carta è considerata un’azione squisitamente “fuori gioco”, ma è una necessaria concessione che il dungeon master fa ai giocatori anche se a volte possono esservi delle eccezioni; per esempio può essere vietato allorché delle determinate ragioni rendono impossibile orientarsi in un dungeon, castello o altro luogo, ma in via generale la cartografia in “fuori gioco” è ammessa per la specifica ragione secondo la quale, quello che i giocatori immaginano con la loro mentre è ciò che i loro personaggi vedono concretamente con i loro occhi; perciò le due dimensioni d’esperienza sono ovviamente differenti, è molto più facile orientarsi e ricordare i luoghi dove si è passati quando li si vede in prima persona piuttosto di quelli immaginati con la mente. Infine e specialmente per quanto riguarda Dungeons & Dragons, va considerato che i suoi mondi sono stati così tanto stipati di cose strane e meravigliose in ogni dove per le quali, un oggetto magico capace di scrivere una mappa proprio mentre si cammina non è una rarità, ma un necessario attrezzo del mestiere per la professione dell’avventuriero.

  Le mappe sono cosi importanti, anzi necessarie, che nei videogoochi non sono mai state trascurate, al contrario, proprio perché per i videogiochi come per i Tabletop si devono disegnare le mappe per costruirvi intorno il gioco, anche molti anni fa era semplicissimo offrire al giocatore di eRPG una schermata nella quale poter vedere dove si trovava; in seguito i videogiochi si evolsero nell’auto-mapping e infine nel dedicare una sezione dello schermo di gioco alla mappa che riproduce in tempo reale tutti gli spostamenti nei luoghi, in scala più piccola ma completamente dettagliata.

  Non sempre i videogiochi permettono di visualizzare la mappa di gioco, o non sempre in tutte le situazioni, perché il playing non sia di facilità ridicola; quindi ci si può ritrovare ad accostare al mouse e alla tastiera (o al joypad) ancora una volta la carta a quadretti e la matita… Ma io personalmente un videogioco che rende la mappatura di un dungeon quasi un’esperienza psichedelica non l’avevo mai incontrato prima!

  Non so se si può parlare di genio, di follia, di un’idea di programmazione talmente squinternata da tramutarsi — forse senza volerlo — in una trovata che rende Dragons of Flame un gioco a suo modo unico, difficile da portare alla conclusione.

  Cerco di spiegarmi in modo comprensibile a tutti, ma solo i Geek e i Nerd possono davvero capire quanto bizzarra è la soluzione adottata. Come già avevo descritto in altri articoli, questo videogioco ha di base una mappa cartesiana a geometria piana, cioè è disegnata come su un foglio a quadretti anche se qua e là ci sono alcune zone sopraelevate che però non sono dei veri veri “livelli” ma solo porzioni di terreno rialzato di una o due unità. Inoltre questa mappa a scala naturale viene usata in entrambe le visuali disponibili: la Wikderness View e la Combat View, l’una che permette di vedere le cose dall’alto, l’altra che “ribalta” questa visuale in una prospettiva laterale, dove tutto il mondo e i personaggi sono visti unicamente di profilo. La cosa estremamente particolare della faccenda è che la Combat View non è un’istanza bidimensionale limitata agli Incontri con i PnG, è “solo” un modo diverso di vedere la mappa di gioco e ci si può muovere per tutta la sua area in ogni direzione; infatti usando i tasti Alto e Basso delle frecce cursore i personaggi “si girano” a destra o a sinistra e tutto segue il loro movimento, cioè lo scenario cambia in base a dove i personaggi guardano ma noi non vediamo quello che guardano loro, bensì tutto quello che gli sta a “destra” e a “sinistra”. Come possiamo chiamare questo modo di impostare visuale e prospettiva?, a due dimensioni e mezzo? Potrebbe essere la giusta definizione e la soluzione poteva essere anche qualcosa di diverso e innovativo se non fosse stato che i programmatori del Videogame trascurarono di aggiungere un piccolo elemento senza il quale né la Cartografia né la Geografia si sarebbero potute sviluppare come discipline scientifiche: un punto di riferimento cardinale, cioè fisso. Sarebbe bastato indicare in modo costante da che parte si trova il Nord e le cose non sarebbero state così assurde. Invece dopo aver attraversato la foresta, quando tra i sentieri di montagna alla fine si scopre l’ingresso segreto dello Sla-Mori, il videogioco abbandona la visuale a volo d’uccello per non riprenderla mai più, e dobbiamo avanzare in un dungeon molto complicato con questo sistema di visualizzazione e movimento. In poche parole: ci si perde in un battibaleno. La grafica semplice e ripetitiva utilizzata per il posto non aiuta affatto; la grotta/mausoleo è riprodotta con una serie di elementi grigi e neri che dipingono la roccia, quando il gruppo raggiunge le camere funerarie descritte sui prodotti cartacei la grafica riproduce pareti costruite in muratura o colonnati ma senza grosse differenze tra loro; anche volersi affidare all’esperienza di “esploratori di dungeon” costruiti come labirinti o puzzle-games risulta difficoltoso, poiché seppure in alcuni casi le aperture dei passaggi, le diverse anse e svolte, gli incroci, siano talvolta significativamente diverse da resto dalle altre, sono troppo poche per prese come punto di rifornimento efficienti.

  Provare a disegnare la mappa, come avrete già intuito, fa semplicemente venire il mal di testa: ogni volta che si fa “girare” il personaggio-guida del gruppo va fatta massima attenzione sul caso se lo facciamo voltare alla sua destra o alla sua sinistra, e in una prospettiva bidimensionale non è affatto intuitivo riuscire a proiettare il lato destro e quello sinistro nelle direzioni dell’alto e del basso; poi, per non farci mancare nulla, a ogni cambio di direzione destra e sinistra diventano i lati di fianco al personaggio. Provare a tracciare una mappa a mano in queste condizioni porta all’impulso di passare dal girare il foglio ogni volta al voler girare il monitor del PC (veramente!) per tentare di capirci qualcosa, ma le speranze sono scarse. Infatti se vogliamo affidarci alle guide-Walkthrought presenti su internet, ne troviamo solo due, ciascuna delle quali, per questa sezione, presentano difformità sostanziali nella topografia, sono lacunose e inaccurate, riportano anche Incontri e Tesori che io personalmente non ho proprio visto — sicuramente perché c’erano anche delle differenze tra le diverse versioni per i vari dispositivi cui il videogioco era stato prodotto.

  Facendo un’altra sintesi lo Sla-Mori viene riprodotto in modo parzialmente fedele: il dungeon è diviso in due parti che vanno esplorate entrambe, ciò significa che bisogna arrivare alla fine di un percorso e poi tornare indietro, ma per quanto riguarda la mappa è del tutto diverso dall’originale e questo vale anche per gli Incontri, invece di pochi e difficili nel videogioco ve ne sono molti e quasi tutti scarsi.

  Ultima nota di sintesi: superare questa sessione necessita della massima concentrazione da parte del giocatore, e anche di ore di gioco se non si è fortunati e attenti. Nei prossimi due articoli cercherò di spiegare come si può andare oltre questa sezione, ma non garantisco la soluzione perfetta.