[Approfondimenti] Dragonlance in italiano, e altre cose

  Le traduzioni dei libri da una lingua all’altra sono una faccenda molto delicata e importante, può bastare ricordare quanti libri assolutamente fondamentali nella storia dell’uomo sono stati tradotti, dall’ebraico antico, dal greco, dal latino… e intorno a queste vicende sono scoppiate anche delle guerre. Risalendo verso una dimensione molto più leggera e superficiale, in Italia e nei confronti della lingua italiana, le traduzioni dei GdR sono stati un campo di croci e delizie degli appassionati. Già negli anni ’90 dello scorso secolo i Giochi di Ruolo erano conosciuti nel nostro paese, e avevano un buon numero di acquirenti ma non sembravano una quantità sufficiente perché delle case editrici italiane scegliessero di puntate sull’impresa di diffondere il prodotto tradotto, a parte alcune eccezioni. Io credo che, sopratutto per Advanced Dungeons & Dragons, la principale ragione per la quale si dovette attendere i primi anni del 2000 per una linea completa in italiano, stava quasi tutta nel fatto che AD&D riusciva a vivere sul mercato americano e internazionale perché funzionava con dei ritmi industriali. Si pubblicava tantissimo a basso costo e a prezzi accessibili al pubblico. Mi pare naturale che in Italia, dove il mercato aveva forse un trentesimo la dimensione di quello americano, un processo di traduzione-stampa-distribuzione & commercializzazione non era affatto replicabile. Inoltre e persino se sembra esagerato, le traduzioni del materiale di D&D non sono facili: i volumi più importanti sono molto corposi, il loro linguaggio è tecnico e preciso, serve molto tempo e spesso i traduttori e i curatori sbagliano. A volte sono errori umanissimi, altre volte sono costretti a omissioni e a rimaneggiamenti specie perché il testo originale è impossibile da rendere nella lingua di destinazione. Aggiungiamo anche che neanche gli autori americani erano perfetti; Gary Gygax scriveva davvero male, è sufficiente conoscere l’inglese quanto basta per leggere i suoi lavoro e farsi un giudizio oggettivo.

  Margareth Weiss e Tracy Hickman, invece, per fortuna loro e nostra, avevano indubbiamente delle qualità narrative superiori, se si vogliono cercare alcune sbavature queste possono trovarsi si come talvolta hanno gestito alcune evoluzioni della trama. 

  Il capitolo decimo del Libro II termina con la compagnia che riesce a a scappare da uno spettro al costo di dover sigillare magicamente una porta e poi ad avanzare a “senso unico” senza la possibilità di tornare indietro. Si trovano ora nella Stanza della Catena e scoprono le assenze del mago Fizban e del kender Tasslehoff. Durante la fuga scomposta e al buio, “capitò” che il mago bizzarro e rimbambito pensò che salire su per l’enorme catena che regola il meccanismo di difesa della fortezza fosse una buona idea, e ritrovandosi il kender accanto, semplicemente lo spinse a scalare i giganteschi anelli d’acciaio insieme a lui. 

  Sicuramente questo allontanamento dal gruppo del mago e del kender ha una funzione e un esito unicamente a scopi narrativi. Per quanto interessante possa essere, è raro che durante una sessione di gioco il dungeon master crei la condizione o fa accadere qualcosa attraverso la quale il gruppo si divide; ciò non significa che tutti i master dei GdR non l’hanno tentato almeno una volta nelle loro carriere o che non esistono avventure scritte dove si gioca con i personaggi divisi, ma non è certo Dragons of Flame l’avventura adatta, soprattutto perché entrare in una fortezza occupata da una forza numericamente capace di controllare centinaia di uomini senza restare uniti è un suicidio anche per i kender “senza paura”. Io credo che gli autori del romanzo abbiano compiuto lo «split» del Party soprattutto per continuare a tenere il ritmo del racconto movimentato; anticipando alcune informazioni fino ad allora completamente sconosciute, l’entrata in scena di altri personaggi, che allarga le dimensioni complessive della storia. Così sono riusciti a mantenere la storia vivace e a evitare quello che accade nel Videogame: un lento arrancare per stanze, corridoi e scale facendo serialmente a pezzi i nemici. 

Vediamo ora un aspetto della traduzione di Stefano Negrini per l’edizione Mondandori. I due stanno risalendo questa enorme catena per un’altezza di trenta metri con solo il vuoto intorno a loro e al buio. Di per sé si tratta di un’azione faticosa che richiede le Abilità Speciali della Classe del Ladro, ma Tasslehoff che proprio tale è, sembra aver bisogno di un aiuto supplementare se chiede a Fizban (che scala insieme a lui e persino senza gran fatica)…

  Thick, heavy darkness wrapped around the kender. Climbing by feel alone, he was growing extremely tired when he felt cool hair brush his right cheek. He sensed, rather than saw, that he must be coming to the place where the chain and the mechanism linked up (Tas was rather proud of that pin). If only he could see! Then he remembered. He was, after all, whit a magician.
  “We could use a light,” Tas called out.
  “A fight? Where?” Fizban nearly lost his grip on the chain.
  “Not fight! Light!” Tas said patiently, clinging to a link. “I think we’re near the top of this thing and we really ought to have a look around.”
  “Oh, certainly. Let’s see, light…” Tas heard fumbling in his pouches. Apparently he found what he was searching for, because he soon gave a little crow of triumph, spoke few words, and a small puffball of bluish-yellow flame appareaed, hovering near the magician’s hat.

Stefano Negrini ha tradotto: Avvolto da una fitta oscurità, il kender era già tremendamente stanco quando avvertì sulla guancia un alito d’aria fresca. Capì così di essere giunto al punto in cui la catena si univa al meccanismo. Se solo avesse potuto vederci! Ricordò poi che, in fin dei conti era con un mago!   «Ci vorrebbe un po’ di luce» disse Tas.  «Oh certo… vediamo un po’…» Tas sentì che il mago frugava nelle proprie borse e poi pronunciava alcune parole. Una pallina di fuoco azzurrino apparve accanto al suo cappello, sospesa a mezz’aria. 

  Nella traduzione in italiano mancano “tre battute” perché si trattava di quanto in gergo è detto “gioco di parole intraducibile”: Tasslehoff chiede di far luce, «light», e Fizban sembra capire che ci sia un combattimento in corso, «fight»; le due parole fanno quasi una «rima perfetta» messe così ravvicinate.

  Si può correggere in molti modi per ripristinare l’integrità del testo: «Ci vorrebbe un po’ di luce», disse Tas
  «Voce? Chi?» Fizban quasi perdette la presa sulla catena.
  «Non voce! Luce!» disse con pazienza Tas, aggrappato tra due anelli: «penso che siamo quasi in cima a questa cosa e dobbiamo davvero dare un’occhiata attorno».

  Personalmente non concordo con la scelta di Negrini perché tale scambio di battute non è “omissibile” dato che presenta un dettaglio su Fizban fin qui rimasto velato sotto le sue stranezze più evidenti. Fizban è sordo, o ci sente davvero poco; nella situazione in cui si trovano i due personaggi solo un handicap uditivo può indurre a una misinterpretazione delle parole del kender. Questo fatto può portare a un radicale ridimensionamento del giudizio sul personaggio; forse Fizban non è “arteriosclerotico” o ha altri acciacchi senili, semplicemente, sentendoci poco e male, confonde quello che gli viene detto in molte situazioni e in altre si estrania. Poi ci sarebbe sa capire quello che Tasslehoff non poteva vedere e su cui non si pone molte domande, cioè l’incredibile scioltezza e agilità di movimento dell’anziano mago in questo frangente.

  Poco dopo c’è stata un’altra omissione nella traduzione. Fizban aveva creato la pallina di luce e quando i due riuscirono a salire fino alla ruota dentata cui la catena si incontra per far girare il gran meccanismo, si poteva intravvedere l’inizio di un tunnel orizzontale. Quindi: «“Could you ask the light to shine in the tunnel?” Tas asked».  Anche senza conoscere l’inglese si capisce: Tasslehoff chiede a Fizban se può mandare la pallina luminosa nel tunnel. “Light — to the tunnel,” Fizban ordered, his bony legs wrapped around a link in the chain, the puffball appeared to consider the command. Slowly it skittered to the edge of the tunnel, and the stopped.
  “Inside the tunnel!” The Mage commanded. The puffball refused.
  “I think it’s afraid of the dark,” Fizban said apologetically.

  È un paradosso divertentissimo:«Puoi chiedere alla luce di illuminare il tunnel?» domandò Tas.
  «Luce — nel tunnel!» ordinò Fizban, con le gambe ossute intrecciate attorno a un anello della catena.
 La pallina esitò, raggiunse l’imboccatura del tunnel e poi tornò indietro.
  «Nel tunnel!» ordinò il mago.
  La pallina rifiutò.
  «Credo che abbia paura del buio!» si scusò Fizban.

  Ma Tasslehoff di fronte a questa assurdità dice: «“My Goodness, how remarkable!” the kender said in astonishment» per poi proseguire come tradotto: «Be’», disse il kender [nell’originale: he though for a moment/rifletté per un momento], «se resta dov’è credo di poterci vedere abbastanza…».

  Probabilmente questa seconda omissione è frutto di una indecisione nel capire cosa volesse dire di preciso Tasslehoff? «Mamma mia! Che roba!»? Oppure: «questa me la segno»?, o anche: «Oh mamma, straordinario!», con un tono leggermente scoraggiato?  Come omissione questa “viola” il testo originario in misura molto minore ma c’è davvero qualcosa di straordinario anche in questo piccolo frangente che potrebbe emergere meglio mantenendo la sottolineatura di Tasslehoff.

  Per accontentare la richiesta del kender Fizban recita senza dubbio l’incantesimo Luci Danzanti nella versione di fuoco fatuo a unica fonte di luce; già il fatto che deve frugarsi le tasche per trovare la Componente Materiale (di solito un pizzico di fosforo in polvere) lo indica, ma ancor più che la sfera luminescente viene mossa a piacere dalla volontà del mago. Conoscendo questo incantesimo si possono calcolare e giudicare diversi dettagli importanti di Fizban, perché come molti altri incantesimi Luci Danzanti diventa più potente al crescere del Livello del mago che lo lancia; per l’appunto la luce ha la durata di un minuto per ogni Livello dell’incantatore (AD&D I edizione) e anche la sua Portata è relativa — cioè la distanza massima rispetto se stesso cui il mago può mandare la luce (alcuni  centimetri, che aumentano di poco ma in maniera decisiva per gli incantatori più potenti). Così possiamo constatare che la “pallina” continua a risplendere per tutto il tempo impiegato dai due nel risalire l’ultimo tratto della catena fin quando non trovano un punto dove fermarsi; a occhio e croce saranno serviti dieci se non quindici minuti per tutto questo; ammettendo un lasso di tempo così lungo, tale da far pensare che gli autori descrivono Fizban come un Mago tra il X e il XV Livello, calcolando che un Mago di XX Livello (il massimo per il regolamento allora vigente) poteva allontanare da se stesso una Luce Danzante per un massimo di 60 centimetri, si capisce che Fizban non è sciocco, ma stava prendendo in giro il kender quando la pallina si «rifiutò» di entrare nel tunnel: le Luci Danzanti non necessitano di un comando vocale per muoversi, e Fizban sapeva certamente che se l’avesse fatta allontanare troppo si sarebbe spenta all’istante.Luce e Luci Danzanti sono due incantesimi della scuola Alterazione non perché hanno lo stesso effetto di base ma sicuramente poiché lo raggiungono causa di lo stesso processo quantistico di eccitazione delle particelle solide molecolari che le induce a produrre radiazioni luminose. La probabile differenza tra i due incantesimi sta nel fatto che Luce altera una massa di molecole più vasta di Luci Danzanti ma non può essere mossa magicamente, ma solo fisicamente. Per esempio l’uso più comune e pratico di Luce è quello di applicarlo a un oggetto, come un bastone, una spada o uno scudo, che può essere tenuto in mano come una lanterna. Luci Danzanti invece è molto più complesso nei suoi aspetti di metamagia — e ciò chiarisce la sua Portata e Durata più corta e più breve — ha un elemento di duttilità tipico delle illusioni e un altro elemento di telecinesi senza sforzo, per ottenere questi effetti non secondari è necessaria una Componente Materiale che tanto sarà la base su cui agiranno le illusioni e la telecinesi quanto l’elemento sul quale l’Alterazione produce la luce.

  Casi di questo genere non sono delle rarità nei testi tradotti, ma questi in particolare, e qualcun altro nel corso del capitolo, mi sono sembrati rilevanti tanto da proporre delle correzioni anche a distanza di così tanti anni. 

  Invece non è certo il caso di pensare a un errore quando ci si trova di fronte ad alcuni termini lasciati nella loro veste originale. Come scritto a introduzione dell’articolo, il linguaggio dei GdR è sempre un gergo specialistico, molto tecnico e molto preciso, talvolta pone ancor più difficoltà di una traduzione scientifica e impegnata per la particolare ragione che i GdR sono prodotti di fantasia creativa e quindi si possono creare parole del tutto nuove, così come usare quelle esistenti con semantica e significato diversi dall’uso corrente. Spesso fenomeni di questo genere non sono affatto evidenti, ma quando un autore scrive: «anyone hit by the monster must save versus…», che si traduce: «chiunque colpito dal mostro deve fare un tiro salvezza contro…», quel “chiunque” non è semplicemente un pronome indefinito ma segnala che, salvo casi particolari, non c’è immunità o resistenza contro il potere o l’effetto posseduto dal mostro, niente da parte di nessun tipo di creatura e personaggio. 

  A volte, tuttavia, le cose possono sfuggire di mano e i Giochi di Ruolo diventano delle costruzioni pregne e stipate di parole complicate e ricercate usate per significare i concetti più comuni e banali. In parte è senz’altro causa di una certa smania di originalità a ogni costo, altre volte si è obbligati a usare i termini più strani per non incorrere in diffide e censure da parte di altri colleghi che hanno già pubblicato e possono accusare di aver copiato e violato i diritti d’autore. Infine un piccolo numero di termini risultano essere effettivamente originali e «aumentano la realtà» (come si usa dire oggi) ponendosi come una prosecuzione del lavoro iniziato quasi un secolo fa da Tolkien quando inventò l’elfico, il nanico e le altre lingue della sua Terra di Mezzo.

  Nel romanzo I Draghi del Crepuscolo d’Autunno, Stefano Negrini ebbe a che fare con il neologismo «Fewmaster»; lo lasciò non tradotto seppure è un termine inventato della lingua inglese con un senso comprensibile per un madrelingua, ma fu la scelta giusta, perché Fewmaster è parola che ha senso solo nel mondo di Krynn, anzi, nel più ristretto ambito della gerarchia dell’esercito draconico… no!, delle armate dei signori dei draghi. 

  Proprio in quanto termine tecnico più importante nel GdR che nella narrativa, giustamente Negrini non lo tradusse poiché sarebbero stati necessari studi e approfondimenti oltre il suo compito — e sicuramente la traduzione dei Moduli della serie DL non era contemplata.

  Inevitabilmente la decisione di lasciare il termine Fewmaster così com’era crea alcune difficoltà per il lettore delle Cronache. Nel primo volume si incontra un solo Fewmaster, l’hobgoblin Toede — pittoresco e delizioso personaggio secondario che con gli altri del suo stesso livello dà alla saga il suo taglio singolare — poiché sul testo il suo nome proprio (Toede) è sempre anticipato dal suo grado (Fewmaster), possiamo essere tratti in inganno e pensare che il personaggio si chiami Fewmaster Toede come fossero nome e cognome — in certi casi per i goblinoidi questo è possibile. Invece Fewmaster è il titolo di un grado militare. La gerarchia degli eserciti dei signori dei draghi adoratori di Takhisis è molto elaborata, ma pare essere una doverosa conseguenza per delle personalità che, ai più alti livelli, vengono “benedetti” dalla Regina delle Tenebre con degli antichi e potenti draghi messi ai loro ordini. I più alti di questi “generali” possono comandare anche due draghi e ciò fa una secca differenza con chi ne riceve solo uno. Persino usare termini come “signore dei draghi” è sbagliato e impreciso; i più importanti in grado nell’esercito di Takhisis sono gli Highlord (gli alti signori, i grandi signori o gli arcisignori), poi ci sono gli Highmaster (i grandi padroni o forse può andar bene anche solo il termine signori) e poi sotto ancora, come luogotenenti a livello e dimensione “provinciale” ci sono i Fewmaster, che non hanno draghi, al limite — sembra — possono cavalcare delle viverne.

  Tradotto letteralmente Fewmaster può significare “signori di pochi” o “piccolo signore”, «master» in inglese viene usato per esprimere in base al contesto “maestro”, “padrone” o “signore”. La traduzione più adeguata, una volta scartato il termine «luogotenente» che non può essere usato per la semplice risultante del Rasoio di Occam per la quale se Liutenant fosse andato bene, l’avremmo trovato sul testo originale, sembrano essere «sotto signore» o «signorotto» — adatti perché più eleganti di “sottocapo” ma più ironici di “vicecapo” e perfetti per un personaggio come Toede che suscita più spesso genuina ilarità nei suoi suoeriori che ammirazione per la sua fedeltà.

 Le informazioni che dettagliato la gerarchia dell’esercito “draconico” si trovano sul volume The War of the Lance, un compendio GdR pubblicato nel 2004 per il sistema D20. Non mi risulta che sia stato mai tradotto ufficialmente in italiano, quindi se volete, potete considerare questo mio minimo contributo alla traduzione dell’universo di D&D e di Dragonlace perlomeno “valido e corretto” dal punto di vista filologico, naturalmente non può essere considerato in nessun caso un contributo o una lezione ufficiale.

P.Ag